Offline è bello: riscoprire la chiave per lo sviluppo del proprio benessere e del proprio quoziente di intelligenza emotiva

In questo articolo porto all’attenzione un fenomeno ormai crescente e che influenza tutti i contesti sociali con cui ci interfacciamo e cioè le diverse forme di dipendenza, più o meno conclamate, che le persone sviluppano in maniera inconsapevole riguardo tutti gli strumenti digitali.

L’obiettivo non è quello di demonizzare sui tools presenti online, che ormai sono parte integrante della nostra vita, ma piuttosto di porre l’attenzione su come questi strumenti ci influenzino e impattino sulle nostre relazioni e il nostro benessere generale.

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La premessa è che molti strumenti come facebook ed altri social media o le email, sono facilmente accessibili grazie allo smartphone. In alcuni momenti è un beneficio perché tanti di questi ci sono utili, ci aiutano a comunicare in maniera veloce e massiva anche con persone lontane. Ci permettono di aggiornarci,  di informarci e promuovere progetti di vita e professionali.

Ma come tutte le cose belle hanno il loro risvolto negativo e quello che può essere utile, divertente e distensivo può trasformarsi in un ostacolo per il nostro sviluppo emotivo e sociale.

Parlo anche di influenza sul nostro livello o quoziente di intelligenza emotiva, intesa come la possibilità di equilibrare e gestire i sentimenti interiori in maniera consapevole a beneficio delle relazioni con le persone.

Il tempo impiegato su queste applicazioni online dovrebbe essere almeno pari a quello per lo sviluppo di relazioni dal vivo e per altre attività creative e rilassanti. Invece accade che con un semplice pretesto siamo immersi e a volte persi nel web con conseguenze non sempre note.

L’obiettivo dell’articolo è di informare sui rischi, offrire strumenti di consapevolezza e di prevenire eventuali fobie o dipendenze.

Osserviamo ora insieme alcuni dati:

Negli ultimi anni in varie parti del mondo, ricercatori di diverse discipline si sono sempre più interessati alla relazione tra le persone e l’utilizzo dei telefoni cellulari e, più in generale, gli strumenti di connessione di rete (Pc, Tablet, ecc.). Diverse Università nel Mondo hanno teorizzato nuove ipotesi e nuove forme di psicopatologie derivanti dal cattivo utilizzo di questi strumenti . Nel 2008, un’indagine condotta in Gran Bretagna da YouGov plc (organismo di ricerca con sede nel Regno Unito), per conto di Post Office Telecom su un campione di 2.163 persone ha individuato la nuova Malattia della Nomofobia. Il termine è composto dal prefisso abbreviato “no-mobile” e dal suffisso “fobia” e si riferisce alla paura di rimanere fuori dal contatto di rete mobile.

Lo studio ha rilevato che, in Gran Bretagna, più di sei ragazzi su dieci tra i 18 e i 29 anni vanno a letto in compagnia del telefono e oltre la metà degli utenti di telefonia mobile (quasi il 53%) tende a manifestare stati d’ansia quando rimane a corto di batteria o di credito, o senza copertura di rete oppure senza il cellulare. Pare che, nelle situazioni sopra descritte gli uomini tendano ad essere più ansiosi delle donne

Si può parlare di Nomofobia quando una persona prova una paura sproporzionata di rimanere fuori dal contatto di rete mobile, al punto da sperimentare effetti fisici collaterali simili all’attacco di panico: mancanza di respiro, vertigini, tremori, sudorazione, battito cardiaco accelerato, dolore toracico e nausea.

I nomofobici sarebbero quei soggetti che cercano di evitare gli stati ansiosi mettendo in atto una serie di comportamenti: mantenendo il loro credito sempre attivo, portando un caricabatterie in ogni momento, dando a familiari e amici un numero alternativo di contatto e portando sempre con sé una carta telefonica prepagata per effettuare chiamate di emergenza se il cellulare dovesse rompersi o perdersi o, ancora, se venisse rubato.

Classificandola come fobia (ossia paura marcata e persistente di situazioni chiaramente discernibili, circoscritte, che può sfociare in attacco di panico), essa dovrebbe essere ascrivibile ai disturbi d’ansia, ossia a quelle patologie che interferisce con il normale svolgimento della vita quotidiana di un individuo.

Come può uno strumento così utile come lo smartphone arrivare a diventare un ostacolo che ci fa perdere il controllo di quello che abbiamo di fronte, non permettendoci di vivere il presente per quello che è? Pensiamo al “fenomeno Pokemon” che ha colpito non solo adolescenti ma anche adulti alla ricerca del mostro perduto.

Altra osservazione riguarda le nostre comunicazioni virtuali; queste sono utili ma ci immergono in un mondo altro, fatto di specchi ed effetti speciali, con luci e riflettori che solitamente nella vita di tutti i giorni non abbiamo.

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A chi non piace essere riconosciuto, o quanto meno essere osservato in tutte le sue caratteristiche o meglio in quelle che vogliamo mostrare agli altri. Molti fanno a gara per avere un mi piaci in più su facebook, o restano in trepidante attesa della doppia spunta dei messaggi letti su WhatsApp.

Vi invito ora a fare un’esperienza di consapevolezza:

Prima di essere attratti da questo articolo che cosa stavate cercando?

Osservate, ora,  il vostro smartphone e contate quante applicazioni avete? Quante ne utilizzate realmente? Qual è l’ultima che avete usato e per quale motivo?

Senza avanzare alcuna ipotesi definitiva, pensate solo a quante volte in un’ora guardate il display del vostro telefonino. Dieci? Quindici? Venti? Se siete in questo range, il conto è presto fatto: significa che controllate lo smartphone mediamente 150 volte al giorno. Superare questo limite di tre o quattro volte significa, secondo gli psicologici, essere già un dipendente conclamato dal flusso digitale.

Siamo tutti a rischio dipendenza da notifica e questo sta notevolmente cambiando anche il nostro modo di affrontare gli eventi e di elaborare e gestire dati o informazioni.

Quanti di noi leggono le email anche fuori dall’orario di lavoro e sono in ansia o vivono sensi di colpa se non lo fanno? Questo sentimento sembra sia internazionale tanto che Telecom Francia impone ai dipendenti di non leggere email fuori dall’orario di lavoro e Richard Branson della Virgin vieta ai suoi collaboratori di vedere l’email per due ore a settimana. Ed è arrivato ad abolire l’orario di lavoro, l’importante è portare a compimento gli obiettivi prefissati. “Una persona se è felice lavora meglio!”.

La digital dipendenza, è un fenomeno moderno e attuale da non sottovalutare.

Se io parlo e il mio interlocutore non mi guarda negli occhi perché è più attento a rispondere all’email del momento o al messaggio da gestire, mostra segnali di poco ascolto attivo.

I manager in azienda lamentano di non riuscire più a gestire i momenti di pianificazione. Non gli dedicano sufficiente importanza. Tutto diventa e viene percepito come emergenza, per cui è più importante gestire questa.

Ci si lamenta perché non riusciamo più a completare le attività prefissate e questo ci procura disagio e  a  volte ansia o sensi di non efficacia. Il web ci educa all’approccio cognitivo multitasking, ossia osservare più fenomeni insieme. Oggi c’è di nuovo richiesta di organizzare le proprie attività e di migliorare la gestione del tempo. Non è un problema di impegno ma occorre recuperare il nostro focus, la nostra capacità di essere concentrati su di una attività per volta e di passare alla successiva solo quando abbiamo terminato quello che ci eravamo prefissati.

I sintomi della digital dipendenza sono progressivi e non lontani da quelli che si registrano con le droghe sintetiche.  Il Policlinico Gemelli policlinico Gemelli di Roma annovera “l’internet addiction” fra le dipendenze prese in carico, insieme a quelle “storiche” causate dalle sostanze stupefacenti.

Si è potuto riscontrare come la dipendenza digitale inneschi nel cervello meccanismi simili a quelli prodotti dagli oppiacei. 

Il rilascio di un neurotrasmettitore come la dopamina dopamina avviene secondo modalità pressoché identiche. Il pensiero ossessivo di non trovare un mi piace a margine di un nostro post o una dose, con le opportune differenziazioni negli effetti, segue la stessa traiettoria cerebrale. All’ossessione per il gioco online si stanno lentamente sostituendo patologie come la Facebook Addiction Disorder e il download compulsivo di musica e video. Ogni momento vuoto (o non del tutto pieno) diventa un’occasione per “andare online”. Succede quando siamo in fila davanti a un qualunque sportello, quando siamo in treno o sull’autobus, quando siamo fermi al semaforo. Una reazione di default che potremmo definire come una sorta di stampella sociale che va a sostituirsi (isolandoci) a tutto quello che ci circonda. E anche quando siamo fuori dalla tana del cyberspazio, è sufficiente il tono di una notifica per farci salivare il gusto di quello che irrefrenabilmente ci aspetta, ne più ne meno come i cani di Pavlov PavlovIl web è il padrone e il suo segnale è un ordine che innesca riflessi condizionati. (cfr. Offline è Bello – M. Perciavalle, A. Prunesti ed. Franco Angeli)

Prevenire questi fenomeni significa imparare ad utilizzare il proprio tempo rendendo la propria organizzazione efficace ed efficiente, rispettando se stessi, l’ambiente che ci circonda e le relazioni che viviamo. Significa anche focalizzarsi più sul presente e sugli stimoli che abbiamo intorno. Significa conoscere le nostre emozioni e saperle identificare; significa vivere di più le relazioni dal vivo e meno quelle virtuali. Trasformare lo strumento web e social come un mezzo per l’incontro reale e non un suo surrogato.

 Ognuno di noi può avere la volontà di agire e cambiare, e può intervenire  sulle sue abitudini: è necessario solo avere consapevolezza prima e impegno e determinazione, dopo.

Nel caso di dipendenze più serie o di vere e proprie ossessioni e patologie il consiglio è di rivolgersi

ad uno specialista, psicologo con specifiche competenze.

Per prevenire la dipendenza da strumenti social o web ho predisposto un programma di Prevenzione e Cambiamento con momenti di Digital Detox, ossia pausa dal web.

Serve seguire tre semplici passaggi:

  • Consapevolizzare (a che stadio siamo?)
  • Formulare obiettivi di cambiamento e Pianificare nuove attività
  • Impegnarsi, agendo e impostando azioni diverse che porteranno ad abitudini più efficaci

La ricetta di digital detox che ho adottato personalmente è: facebook non tutti i giorni e solo per massimo 15 minuti. WhatsApp solo se non sono impegnato in attività lavorative e se non ho di fronte qualcuno con cui relazionarmi. L’email gestiste solo dopo la mia prima ora di lavoro per non trovarmi immerso nelle attività ordinarie da subito. Un articolo su un portale una volta a settimana per diffondere le mie idee e i miei programmi. Linkedin per postare aggiornamenti professionali due volte a settimana. Nel tempo libero attività sportiva supportato da personal trainer, con attenzione particolare al respiro addominale; cibo sano, lunghe passeggiate e laboratorio teatrale una volta a settimana per sviluppare creatività e flessibilità.