La felicità è donna

Il potere femminile, in ognuno di noi, di “generare” le proprie scelte

Dialogo tra persone che si conoscono da poco e dopo un primo scambio di battute, qualche frase di circostanza potrebbe capitare di parlare della quotidianità e inevitabilmente prima o poi ecco una possibile tipica sequenza narrativa:

X: “Tu hai figli?”

Y:  “No”

X: “Ah….mi dispiace! Essere genitori è davvero un’esperienza meravigliosa, dà senso alla vita e tutto diventa più bello…ti danno la felicità!”

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Ora, lasciando da parte i luoghi comuni e le personali reazioni talvolta anche inopportune che le persone possono avere dinanzi a questo tema delicato così come dinanzi ai motivi di tale “mancanza” che non sempre è voluta, voglio invece portare la riflessione su un livello più ampio e allo stesso tempo anche più profondo di pensiero.

Ho cominciato a farmi alcune domande:

  • Ma se la felicità è etimologicamente connessa alla radice del verbo greco “feo”, che significa produco e ha perciò il senso proprio di fecondo, allora potrebbe avere a che fare, in qualche modo, con il significato ancora più vasto e denso di fertilità?
  • Se oltre il procreare biologico, provassimo ad estendere il concetto di generatività all’aspetto della creatività umana in generale?
  • E se, pertanto, il nostro potere di essere felici [lat. felixīcis, dalla stessa radice di fecundus, quindi propr. «fertile»] fosse strettamente legato alla possibilità che noi tutti abbiamo di scegliere come destinare questa istintiva energia generatrice che attraversa il nostro essere individui pensanti?
  • Siamo o no, in realtà noi tutti, capaci di costruire, realizzare, creare e “partorire” opportunità, bellezza, saperi, valori, emozioni, idee oltre che – a volte capita – figli?
  • Bè allora forse, ma dico forse – a voi appunto la “scelta” di crederlo – la felicità può anche declinarsi in “mettere al mondo se stessi” attraverso le proprie opere, i propri artefatti, le proprie azioni, le proprie riflessioni condivise, il proprio agire in mezzo agli altri e a volte anche per gli altri, prendendosene cura.

Se riduco le mie azioni all’adattarmi al contesto e agli eventi abbandonandomi ad essi allora limito le mie stesse potenzialità per me e per gli altri. Nella forma di forza proattiva la felicità, invece, viene coniugata al femminile come dimensione che alimenta possibilità nuove, che lascia spazio alle intuizioni, al sentire inspiegabile di percezioni intangibili eppure cariche di senso ancora inespresso, ad accenni di realtà e cose e fatti ancora da venire, diventando una parte ugualmente presente in ogni individuo assieme a quella più tipicamente maschile connessa alla forza, all’audacia, all’atto in sé del fare pratico e del proteggere.

Ma perché allora, a volte – sarà capitato anche a te – è così difficile attingere a questa sfera propulsiva di produttività insita in ciascuno di noi?la felicità è donna (1)

Di certo gli accadimenti della storia e gli influssi della cultura occidentale non ci hanno agevolato nei secoli allo sviluppo del lato femmineo quanto invece siamo stati indotti – uomini e donne – ad allenare la parte più virile delle nostre identità. Abbiamo alimentato la corsa alla competizione, al superamento di ostacoli e sfide nell’ottica dell’ottenere riconoscimenti dal branco, alla vittoria sul più debole per far progredire l’evoluzione…e fin qui tutto sommato ci è andata anche bene!

Tutto questo fervore di ambizione ci ha pure permesso, nei paesi più sviluppati, di raggiungere alti livelli di eccellenza e progresso in tantissimi ambiti dello scibile umano. Tuttavia, oggi, si presenta un nuovo e imprevisto scenario davanti a noi: comincia a non aver più molto senso la lotta per le risorse, per esempio, dato che, comunque, esse saranno sempre meno per tutti quanti.

Altra domanda: e se cominciasse ad aver più senso l’invenzione di soluzioni che agevolano la nascita di nuove forme di risorse? Ed ecco che torna: il tema della “creazione”.

Si inizia anche ad avvertire che le differenze di genere vanno rispettate nella loro autenticità e specializzazione reciproca per recuperare le reali attitudini della donna e dell’uomo liberandosi però da stereotipi troppo a lungo consolidati nella mente e nei comportamenti: questa società per secoli ci ha raccontato favole con principesse fragili in attesa di coraggiosi principi azzurri.

Ed ecco che spuntano nuove eroine: si passa da Bianca Neve avvelenata dalla mela infetta (del sapere a lei proibito? Mi verrebbe da pensare ad un altro grande Racconto che comincia con una mela “proibita” raccolta da una donna – ma questa è un’altra storia!) alla campionessa di scherma Beatrice Vio che ha scelto la sua risposta alla malattia colorando la sua vita di sorrisi, trionfi e messaggi positivi che riempiono l’anima. Lei ha ristrutturato il suo vissuto e ha fatto della sua difficoltà qualcosa di speciale, con tenacia e persistenza e speranza.

E tante altre donne di oggi e di ieri (leggete Storie della Buonanotte per bambine ribelli di Francesca Cavallo ed Elena Favilli) hanno saputo superare quella che viene definita da Betty Friedan come la Mistica della Femminilità nel suo omonimo saggio pubblicato negli anni 60. Durante quel periodo di profonda messa in discussione dello status quo, la Friedan con questa espressione indica il modello marito-figli-casa (imposto alle donne senza considerare le reali aspirazioni a una vita lavorativa e sociale diversa e paritaria). Un modello che doveva essere superato con la nascita di una nuova identità femminile, in sintonia con i rapidi cambiamenti culturali ed economici.

Oggi più che mai il dibattito può essere aperto a nuove riflessioni per voce della stessa Friedan: “Non si può andare avanti come se la questione riguardasse solo le donne. C’è una nuova urgenza che riguarda gli uomini, la loro identità virile e il loro modo di vedere se stessi e la società in cui vivono”.

Se tutto questo ha quindi senso per le donne, potrebbe diventare monito e spunto di riflessione per gli uomini, quelli lungimiranti che io – fiduciosamente – credo siano ancora tanti e che in un contesto ormai fortemente destrutturato, senza più paradigmi stabili di riferimento, senza schemi fluidi di esempio e guida all’agire verso l’autorealizzazione, essa stessa perde di solidità.

Lo status maschile, da sempre privilegiato nel raggiungimento di potere viene oggi a tratti deleggittimato, se si sa leggere tra le righe di ciò che accade ovunque come risultato di un approccio non più funzionale alla felicità e al bene comune. Ecco, io mi rivolgo agli uomini che sanno intravedere nelle pieghe e nelle “piaghe” della attuale instabilità moderna i possibili nodi da stringere con le donne loro partner, colleghe, amiche, collaboratrici: in esse possono vedere alleate straordinarie per dare inizio ad attività di business, progetti pionieristici, visioni a largo spettro su prospettive nuove per apportare cambiamenti e risultati eccellenti in ogni campo. la-felicità-è-donna-(8)

Creando collaborazioni, sinergie invece che battaglie di genere, guerre di potere e frustranti conflitti,  uomo e donna possono convergere verso un unico comune obiettivo: generare felicità mettendo in pratica la già nota formula descritta dal fondatore della psicologia positiva Martin Seligman.

Egli sottolinea che la cosiddetta “impotenza appresa” – intesa come rassegnazione per non riuscire a incidere sulla realtà – si può appunto imparare allenandosi costantemente al pessimismo e all’inefficacia. Allo stesso modo anche il contrario può essere il risultato di tale allenamento diametralmente opposto. La felicità autentica” – afferma Seligman – “deriva dall’identificare e coltivare le proprie potenzialità fondamentali e dall’usarle quotidianamente nel lavoro, nell’amore, nelle attività ricreative, nel ruolo di genitori etc”.

La sua formula della felicità è la seguente: H = S + C + V, in cui H sta per happiness ovvero il nostro livello permanente di felicità; S sta per set range ovvero la nostra quota fissa di felicità ( una sorta di timoniere genetico che ci indirizza verso una specifica predisposizione naturale ad un certo livello di felicità o di tristezza, così come la tendenza o meno ad ingrassare!) in percentuale circa il 50% ; C indica le circostanze della nostra vita, alcune delle quali di fatto possono agevolarci o ostacolarci (ricchezza/povertà, matrimonio, vita sociale, età, salute, genere, fede…) con la relativa percentuale del 10%. Infine V che indica tutti quei fattori che dipendono dal nostro controllo volontario.

I primi due fattori S e C sono impossibili o difficili da cambiare mentre possiamo lavorare su molte circostanze interne (V) ossia sul nostro grado attivazione della Responsabilità ( abilità nel rispondere a ciò che ci accade): la percentuale indicata è del 40% quindi avremmo – se solo lo volessimo – un bel margine di manovra.

Ampliando lo sguardo con acuta osservazione di quelle sfumature da cogliere dentro le occasioni che la vita ci offre, sfruttando la nostra quota di fattore “C”, potremmo allenarci a concentrare i nostri sforzi in tale direzione e usare così in modo costruttivo la nostra volontà.

Concludo con un invito che comincia con un piccolo Quiz:

Immagina per un momento uno scrigno davanti a te, aprilo e comincia a riempirlo di ciò che più ti rappresenta, di tutto ciò che hai realizzato nella tua vita: le emozioni più belle che hai vissuto, le scelte importanti che hai fatto, gli eventi significativi che hai affrontato, le sfide che hai vinto, i successi e i piccoli o grandi traguardi che hai ottenuto. Ora guarda l’insieme, scorgi in esso la visione generale, il senso dato da quel sottile filo rosso che collega tutto in una logica di continuità: questo scrigno sei tu e sei tu che lo hai creato.

Ora sei libero di selezionare una risposta tra le seguenti:

  1. Chiudo lo scrigno e lo lascio là, in fondo al mare di un passato che è mio ma non c’è più e non ha senso per me, ora tutto ciò: non intendo fare spazio né riempirlo
  2. Resto a contemplare lo scrigno e ciò che finora in esso è stato di prezioso e utile, e me ne sto così in attesa che prima o poi qualcos’altro si manifesti di passaggio così da coglierlo e conservarlo
  3. Osservo quel tesoro nello scrigno, interpreto il senso di ciò che ho custodito finora e di ciò che ho tenuto, e poi decido di integrare il contenuto con nuove forme di bellezza e di significato, reinventando ciò che “ho” per poter dire “sono” …felice.

A te la scelta.

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Io scelgo “C” e magari risponderei nel dialogo iniziale “Penso che un figlio sia tra le cose più meravigliose, stupende, intense e stupefacenti nell’esistenza umana e nello stesso tempo penso che quando non si possiede il dono della procreazione si ha comunque il dono di generare altre forme di “vita”: amore, bellezza, valore, senso, condivisione, innovazione, cambiamento, emozioni, bontà….”

Qual è la tua personale, autentica e speciale forma di potere generante per Vivere Intensamente il Tempo Assegnato?

Per rispondere ti offro un aiutino: riprendi un attimo quello scrigno prezioso che sei e troverai, qua e là, non una ma tante tante risposte…anche nascoste: le tue straordinarie potenzialità!